Sono ferma da 2 mesi dal lavoro, e mi rendo conto che mi manca.
In realtà ce ne siamo accorte in 2: io e mia figlia. Ieri sono passata in clinica per fare degli esami del sangue e la marmocchia, come se fosse a casa, ha iniziato a fare le capriole, alla faccia del fatto che nell'ultimo periodo si dovrebbero muovere poco. Temo di sfagiolare un cucciolo di veterinario, e triste com'è il quadro della nostra professione spero che ci ripensi nei prossimi 18-19 anni. Oppure di avere sufficieti mezzi per spedirla all'estero.
Adesso però sono un po' angosciata.
Il quadro clinico degli esami che ho fatto ieri è abbastanza normale e naturale: gatto di 15 anni che inizia ad avere degli acciacchi, controllabili con cambio della dieta e con, al momento, solo un integratore alimentare. Chi mi angoscia sono i proprietari. Certamente si prenderanno cura del loro gatto, ma sono loro che mi preoccupano: mi preoccupano che prendano in modo esageratamente grave l'anzianità del loro gatto, cioè che in pratica gli scavino già la fossa nel loro cuore,e questo non fa bene ne agli umani ne al gatto, che a vederlo sembra quello con più carattere in famiglia.
D'altro canto c'è da dire che il modo in cui faccio il medico non è convenzionale: non visito su un freddo tavolo di acciaio il cane o il gatto di turno con cui, a parte termometro e fonendoscopio, non condivido nessun altro contatto. I miei pazienti, e le loro famiglie, finisce che li conosco, e che li coccolo, e perchè no talvolta li vizio pure, se questo mi permette di fargli un vaccino senza che mi stacchino una mano. Non sono come certi colleghi che una volta intascata la parcella ed usciti dalla porta cliente e paziente, è come se nulla fosse stato. Così finisce che mi metto in una posizione in cui non sapere mi crea imbarazzo con me stessa, perchè non mi sento in grado di rassicurare gli umani che hanno a cuore i loro pelosi. Questo è il mio limite, ma fa parte anche del mio modo di lavorare: lavoro come "medico veterinario di famiglia" non come il veterinario del cane o del gatto, ma come il medico di un membro della famiglia, a volte esageratamente coccolato viziato e protetto tanto da essere aggressivo, a volte amato e ben educato da lamentarsi solo per l'ago sotto cute e riempirmi poi di bacini.
Mi rattrista, in casi come questi, non saper dare una prognosi, ma sono felice di essere un medico così.
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